Vantaggi psicologici delle coppie antiche
LORENZO L. BORGIA & GIOVANNA REZZONI
NOTE E NOTIZIE - Anno XIX – 23 aprile 2022.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia”
(BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi
rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente
lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di
pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei
soci componenti lo staff dei
recensori della Commissione Scientifica
della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Premessa. Nel nostro contributo al seminario permanente sull’Arte
del Vivere, proseguendo le riflessioni sulla traccia tematica Rilevanza
attuale delle differenze nel valore psicologico tra pensiero greco e cristiano,
della quale si è detto di recente[1], ci siamo soffermati sui modelli di coppia del
periodo ellenistico, e abbiamo deciso di impiegare la lettura sistematica di un
paragrafo di Specchio della psiche e della civiltà (“Nuove in fatto di
morale e vita quotidiana circa le attualità del passato”)[2], per discutere dell’influenza sulla psicologia
individuale e di coppia della cultura, prendendo le mosse dal commento al testo.
Ci siamo avvalsi di altri testi e comunicazioni personali del presidente
Perrella, così come della consulenza storica della professoressa Monica Lanfredini.
Al seminario
è stato dimostrato il valore adattativo e la presumibile utilità psicologica
dell’istituto matrimoniale come era concepito nel mondo antico, sia quale approdo
dopo la temporaneità degli amori adolescenziali, sia nella sua dimensione di economia
interna alla coppia e dei suoi rapporti con l’esterno sociale. Senza entrare
nel dettaglio tecnico di questa materia, proponiamo una breve riflessione in un
paragrafo introduttivo che precede lo studio del testo del nostro presidente.
1. Il matrimonio antico come “forma o
stampo” entro cui spesso si plasma l’identità adulta. Oggi, come allora, durante l’adolescenza i ragazzi
si provano come fosse un abito l’identità adulta, in un certo senso
recitandola, ovvero rappresentandola agli altri negli atteggiamenti, nei modi e
nelle intenzioni dichiarate. E, mentre registrano le reazioni dell’ambiente a
queste “prove di nuova identità”, osservano sé stessi decidendo di volta in
volta come agire. Si tratta del primo grande cimento nella vita dell’immaginario
personale con la realtà, costituita dalle forme sociali condivise
attraverso costumi, mode di pensiero e senso comune, dell’immaginario degli
altri. Soprattutto si tratta di un confronto tra come ci sentiamo
noi e come ci vedono coloro che ci circondano: se la distanza è notevole,
è inevitabile il conflitto; ma i fattori di sofferenza in questo transito sono
numerosi e vari, ed è difficile affrontarli da soli. Alcuni amori adolescenziali
nascono proprio dal riconoscimento reciproco del ruolo adulto nella forma in
cui lo si rappresenta: i due membri della giovane coppia giocano allo stesso gioco,
che così diventa realtà.
Nella
cultura antica questo alveo di equilibrio psicologico ha una forma precisa nell’istituto
matrimoniale: il ragazzo, che può anche essere un liberto che prende nel nome l’identità
del suo ex-padrone, sceglie un profilo ideale professionale, civile o militare
da impersonare e, grazie al matrimonio, diventa un dominus, un signore,
responsabile dell’economia e del prestigio sociale della famiglia. Così la
ragazza, prendendo a modello le matrone che ammira, sceglie un ruolo nell’arte
o nella polis ethica e, grazie al matrimonio, diventa una domina,
signora e padrona della sua casa. Ed è questo che devono dimostrare le
giovinette in epoca imperiale: di conoscere tutto ciò che è necessario per poter
gestire ogni aspetto della dimensione domestica, dall’economia alla guida delle
ancelle, di cui spesso la ragazza ha fatto parte prima di emanciparsi come domina,
donna. È questo il significato reale e originario della parola: padrona di sé
stessa e della sua casa, intesa come dimensione privata della vita di tutta la
famiglia. Diventare donna voleva dire dimostrare di essere in grado di
amministrare saggiamente il tempo della vita propria e di tutti coloro che
abitavano la domus.
È
stridente il contrasto col messaggio trasmesso da mezzo secolo a questa parte attraverso
i mezzi di diffusione della cultura di massa, inclusi cinematografia,
televisione e media non convenzionali: una ragazzina diventa donna quando ha il
suo primo rapporto sessuale che, in epoca di certezza anticoncezionale, è
sempre più spesso con un partner occasionale. Molte figlie e nipoti di
sessantottine sono state educate precisamente a fare questo: entrare in quella
che è la massima intimità fisica possibile tra due esseri umani, anche col
primo venuto, per liberarsi della verginità – un ostacolo al piacere sessuale
che deve essere in cima agli obiettivi esistenziali subito dopo il denaro – e “fare
esperienza” per scegliere il compagno che assicuri il maggior godimento
possibile.
2. Lettura e commento della parte
relativa alla coppia di “Nuove in fatto di morale e vita quotidiana circa le
attualità del passato”. Cominciamo a leggere il testo del secondo
paragrafo della terza parte di Specchio della psiche e della civiltà
dal punto in cui si attinge al profilo della coppia coniugale al tempo dell’Impero
Romano, desunto dai documenti del progetto avviato
da Philippe Ariès e Georges Duby e poi sviluppato da storici eminenti negli
anni successivi:
“La castità dei coniugi è un valore, una tradizione e un’abitudine: in una
parola, un ethos. È parte dello stile di vita quotidiano tanto quanto la
pulizia della casa, l’igiene personale e l’uso del buon senso; anche se in
origine vi erano ragioni filosofiche e religiose differenti, ormai si tratta di
un costume profondamente radicato e probabilmente consolidato durante il mezzo
millennio di ellenizzazione dei territori dell’Impero Romano.
È importante sottolineare che non si tratta della semplice
fedeltà coniugale, ossia del tener fede al patto di legame esclusivo, ma di un
regime ordinario che prevede l’astensione da ogni genere di intimità all’interno
della coppia, eccezion fatta per le circostanze in cui si concorda di mettere
al mondo un figlio. Una tale disciplina, che si ritiene fosse osservata dalla
maggioranza, è sembrata agli storici simile a quella delle vestali e delle vergini
romane di alto rango, obbligate alla purezza dalla casta, da cui il termine stesso
castità”.
Questo
brano ci fa irrompere nella domus, portandoci al cuore di un ambiente
mentale condiviso, un ethos importante non solo e non tanto perché
costituito in cinquecento anni di ellenizzazione culturale, ma in quanto efficace
nella sua qualità di pilastro psicologico, formato da uno spazio-tempo
di rinuncia al piacere dei due coniugi, che fonda la responsabilità di tutta la
famiglia. Le tre parole che sintetizzano il potere simbolico, la trasmissione generazionale
e la memoria di consuetudine, ossia valore, tradizione e abitudine,
ci rendono perfettamente conto della natura degli ancoraggi di quel costume che,
per tale ragione, non è mai in discussione: è la saggezza di non cedere alle
passioni, tramandata e praticata, che consente nell’attualità vissuta di essere
padroni di sé e responsabili amministratori del proprio tempo e delle proprie
risorse.
Non è
superfluo sottolineare che il materiale documentario su cui si basa il saggio
che leggiamo insieme costituisce un approdo recente della ricerca storica più
autorevole, che ha sfatato la leggenda della famiglia romana costituita da clan
e ne ha dimostrato la coerente genealogia etrusca ellenizzata. Quando i figli
di Cicerone e Celio, ancora giovanissimi[3], decidono ognuno di sposarsi e fondare una propria domus
con clienti e schiavi, questo costume a Roma era antico e consolidato.
La
castità tra coniugi era la regola e, con ogni probabilità, anche nel caso delle
eccezioni più note vi era stata un’esagerazione presuntiva da parte di alcuni
storici del passato. L’idea di un mondo pagano dominato dall’erotismo ha
erroneamente indotto alcuni a considerare regola le eccezioni, narrate
come tali dai contemporanei.
L’amasio,
ad esempio, non aveva necessariamente una relazione col padrone di casa: prendendo
a modello Ganimede, l’amasio di Giove, questi giovani coppieri erano spesso
platonicamente idealizzati per la loro bellezza e indotti a posare per artisti
che avrebbero dato fama a loro e ai loro signori. Bruto, l’uccisore di Cesare, dispose
che il suo amasio fosse ritratto da uno scultore, e subito l’opera fu riprodotta
in tante copie; l’amasio dell’imperatore Domiziano, come quello di Adriano, il
celebre Antinoo, furono oggetto di celebrazione poetica[4]. Un uomo non baciava mai l’amasio in presenza della
moglie, mentre poteva baciare sulla bocca un altro uomo, secondo una moda di
quegli anni, seppure deprecata in precedenza, che aveva contagiato anche Marco
Aurelio, stoico rigoroso come il suo maestro Seneca[5].
Se stiamo
alla ricostruzione dai documenti di Paul Veyne per il lavoro diretto da
Philippe Ariès e Georges Duby, questi costumi sono prove di un’affettività non
erotizzata, coerente con uno stile psicologico improntato alla sorveglianza
cosciente delle responsabilità, che sarebbe indebolita dal cedere ad uno
stato psicologico in cui prevalga la tensione sessuale. È opportuno notare che
questo stile sembra fosse dominante nella civiltà etrusca che, soprattutto
attraverso i Tarquini, aveva conquistato culturalmente Roma.
Riprendiamo
la lettura del saggio:
“Alla coscienza dei membri della coppia emerge la valenza della signoria
di sé per la stima affettiva: la continenza non si limita a dare forma strutturata
al soggetto responsabile temprato nell’altruismo e nelle priorità dello spirito,
ne accresce la rispettabilità fino all’ammirazione agli occhi dell’altro, e
soprattutto fonda l’autorevolezza dei coniugi nel compito educativo.
Paul Veyne, a proposito dello stile della coppia, parla di ‘conformismo
volontaristico’ e sottolinea che ‘c’era, fra lo stoicismo e la nuova morale
coniugale, un’affinità più autentica. Questa morale non prescriveva più di
eseguire docilmente un certo numero di compiti coniugali, ma di vivere da
coppia ideale, in base a un costante sentimento d’amicizia per sé sufficiente a
dettare dei doveri. […] Il conformismo stoico riprenderà l’istituto matrimoniale
in tutto il suo rigore e lo renderà più severo esigendo dagli sposi che
controllino il minimo gesto e che prima di cedere al minimo desiderio possano
provare che questo desiderio è fondato sulla ragione’[6]”.
Se tutta la vita di coppia deve iscriversi nell’alveo della ragione, si
suppone un adeguamento o almeno uno sforzo comune all’agire razionale, quale
tendenza generale. Questo vuol dire prevedibilità affettivo-emotiva,
ossia una condizione che accresce stabilità, sicurezza e serenità.
Dagli scritti antichi si evince che se toccava più spesso al marito
rappresentare il nomos, ossia la dimensione normativa della polis
nella casa, era in genere la moglie a farsi garante della ragione tra le
mura domestiche. Una divisione di compiti che, nella realtà quotidiana, doveva
essere più un gioco flessibile di ruoli su un sostanziale fondo razionale
comune, che l’espressione di differenti attitudini.
I primi studiosi che hanno provato ad affrontare in chiave antropologica o di
psicologia sociale il mondo classico, hanno declinato spesso le loro osservazioni
in termini di “discorso” in rapporto a un ruolo: il discorso della donna,
il discorso del padrone, il discorso dello schiavo, e così via. Se
per “discorso” intendiamo il senso del soggetto nella sua intenzionalità
esecutiva o, meglio, quella parte della coscienza vissuta espressa nella “parola
piena” che ci significa presso gli altri, allora comprendiamo che il discorso
di ciascuno di noi, per non essere ridotto a mera comunicazione, ha bisogno di essere
concepito su uno stabile fondamento di identità riconosciuta. Nella
coppia antica la moglie era l’ancoraggio del discorso del marito, il quale, a
sua volta, era l’ancoraggio del discorso della moglie.
Ritorniamo al testo che, senza bisogno di altro commento, chiarisce il
senso della castità in una cultura precristiana e ci aiuta a comprendere perché
i costumi attuali sarebbero considerati espressione di un degrado abietto dagli
antichi di quell’epoca:
“Il matrimonio non ha il valore di patto sacramentale dei coniugi con Dio,
come era nel mondo ebraico e poi sarà nell’Europa cristianizzata dopo Costantino,
ma è considerato unanimemente da filosofi e politici di epoca ellenistica l’istituzione
più importante per il controllo morale del cittadino e l’edificazione dei corpi
sociali. Antipatro di Tarso, per restare agli stoici senza tornare indietro all’insegnamento
socratico[7], incoraggiava il matrimonio ‘per
dare cittadini alla patria e perché la moltiplicazione della specie umana è
conforme al piano divino dell’universo’[8]. Musonio insegna che a fondamento del
matrimonio c’è la procreazione e l’aiuto reciproco tra coniugi[9].
Ma la distanza maggiore dalla sensibilità cristiana la troviamo in Epitteto,
che considera l’adulterio un furto e propone un imbarazzante paragone,
definendolo disdicevole come a pranzo rubare dal piatto del vicino di posto una
porzione di maiale[10].
Seneca ribadisce il carattere casto dell’amore fra i coniugi, sostenendo
che non debbano eccedere in effusioni come le carezze e limitare l’intimità al
solo fine procreativo. Allo scopo di preservare il valore del matrimonio nel
prevenire i mali dell’animo, ammonisce gli uomini a non trattare la moglie come
un’amante[11]. Ricordo che, trecento anni dopo,
queste parole sono citate e approvate da San Girolamo.
Il poeta Lucano, così caro a Dante che nel IV canto dell’Inferno, proclamandosi
“sesto tra cotanto senno”, lo menziona con Virgilio, Omero, Orazio e Ovidio, era
nipote di Seneca e, in materia di matrimonio, aveva la stessa concezione dello
zio. Lucano, autore di una cronaca realistica della guerra civile tra Cesare e
Pompeo, narra di Catone, di fede stoica, che deve congedarsi dalla moglie per
lungo tempo o forse per sempre, perché parte per la guerra; il poeta tiene a
precisare che Catone, nonostante la circostanza eccezionale, per coerenza dottrinale
con i propri principi non ha un rapporto sessuale con la consorte.
Si legge che anche lo stesso Pompeo, sebbene non fosse stoico, prima dell’addio
a sua moglie non rimane a giacere con lei. ‘Perché quest’astinenza?’ si chiede
Paul Veyne. E poi fornisce questa risposta: ‘Perché un uomo dabbene non vive
all’insegna delle piccole soddisfazioni e sorveglia ogni suo minimo gesto; ora,
cedere al desiderio è un gesto immorale: bisogna andare a letto insieme per un
solo motivo ragionevole: la generazione. Si tratta meno di ascetismo che di
razionalismo’[12].
In effetti, le tesi stoiche sono sviluppate secondo rigore e coerenza
razionale, come sarà per quelle della pedagogia cristiana, ma la differenza non
deve essere cercata né nella struttura logica – molto simile – né nella forma
comportamentale – che è quella comune della privazione – ma nella sostanza del
credo e del fine, come ho dettagliato all’inizio di questo paragrafo.
Posso essere d’accordo con Paul Veyne quando afferma: ‘La «pianificazione»
stoica ha dunque una somiglianza ingannevole con l’ascesi cristiana’, ma non posso
concordare con lui che la vera linea di demarcazione sia quella che separa una ‘morale
dei doveri coniugali’ da una ‘morale interiorizzata della coppia’. Tale
dicotomia per me è solo un criterio un po’ artificioso per introdurre una distinzione
presente più nella mente del suo autore che negli effetti deducibili dai
documenti.
Sinceramente, non credo esistano una ‘morale dei doveri’ e una ‘morale dell’interiorità’:
esistono stati psichici e usi della mente e delle risorse cognitive rispondenti
a differenti stati d’animo ed esigenze pratiche. Le parti prescrittive o
pedagogiche esistono come prassi di qualsiasi dottrina;
allo stesso modo, l’interiorizzazione della morale è una dimensione che, pur
dipendendo nella pratica dai suoi interpreti, si suppone sempre presente.
Senza un’interiorità, a mio avviso, non esiste una morale. Anche l’ethos
più inconsapevole e mutuato dalla semplice consuetudine ad abitare un particolare
luogo di senso, come vuole l’etimo all’origine dei valori semantici della famiglia
di parole connesse al concetto di etica, appartiene all’interiorità di un individuo,
pur quando inconscia. Per seguire l’idea, che è verosimilmente all’origine delle
‘due morali’ proposte da Paul Veyne, ossia l’esistenza di una differenza
fra coloro che si limitano a rispettare le regole per superficiale conformismo
e quanti le hanno introiettate e le seguono con convinzione profonda, si
dovrebbe poter esaminare la coscienza dei soggetti storici e stimare il grado
di consapevolezza nell’agire morale di ciascuno.
Un’operazione sicuramente impossibile ma che mi sento, consolatoriamente,
di reputare inutile: in ogni contesto sociale, in ogni epoca della storia, una
parte delle persone vive con responsabile profondità e talvolta con
appassionato impegno i principi del sistema morale cui appartiene, mentre un’altra
parte vi aderisce con accondiscendente superficialità.
Forse la più importante sottolineatura dello storico dovrebbe riguardare un’opinione
che ha desunto da documenti e testimonianze: coloro che aderivano per semplice
conformismo alle regole di vita della coppia costituivano la stragrande
maggioranza. Non è possibile sottoporre a verifica sperimentale un simile
assunto ma, stando al criterio storico della ragionevolezza e verosimiglianza,
possiamo far nostra questa deduzione. D’altra parte, non ne sono
particolarmente meravigliato, in quanto lo sguardo d’insieme ci ricorda che
stiamo considerando una realtà temporale che non è più quella della
fervente fucina di passioni filosofiche dell’epoca classica e non è ancora
quella dell’affermazione della spiritualità cristiana; pertanto è lecito
presumere uno stato generale di transizione dei valori nella coscienza
collettiva”.
Se a quell’epoca, dopo cinquecento anni di ellenizzazione e secoli prima
della cristianizzazione, dunque senza alcuna ragione religiosa, è stato
possibile l’affermarsi della continenza nei costumi sessuali della coppia, deve
avere agito a supporto l’esperienza di un vantaggio in termini di risorse
psichiche, quali forza morale, lucidità di coscienza e analisi della realtà con
visione diacronica e prospettica delle vicende personali e sociali.
Il costume attuale di erotizzazione dei rapporti sociali, pur da molti
vissuto come inconsapevole adesione a una forma esteriore, ossia a una moda, se
interpretato nella letteralità di una pratica propensione e promozione di uno
stato psichico pervaso dall’attivazione delle reti neuroniche mediatrici dell’interesse
sessuale, oltre a compromettere la saggia regolazione della distanza, riduce lo
spettro tematico di consapevolezza e la profondità del campo di coscienza.
Ma, torniamo al testo:
“Rimanendo alla dimensione interpersonale dell’unione matrimoniale, un
aspetto mi sembra rilevante: l’uguaglianza dei coniugi rispetto ai doveri
comportati dal vincolo che lega l’unione giuridica della coppia alla struttura
di senso legale della nazione. Anche se molti stoici non rinunciano ai
privilegi maschili, compreso l’imperatore Marco Aurelio, interprete dello
stoicismo che si compiace dell’obbedienza della consorte, il carattere
bilaterale del contratto stabilisce che l’adulterio del marito sia considerato grave
quanto quello della moglie[13]. Si tratta di un cambiamento molto
rilevante, che gli storici definiscono come un abbandono della “vecchia morale”
che non giudicava le colpe secondo i valori ideali, ma in base alla realtà
civica che riconosceva il privilegio maschile[14]. Tuttavia, non ci spiegano perché
ciò avvenga e se si possa attribuire alla tardiva affermazione di ideali ateniesi
nel lungo e faticoso processo di ellenizzazione della cultura europea”.
L’asimmetria maschilista nel contratto matrimoniale era virtualmente
scomparsa e, in una società pur caratterizzata da un’importante componente militare
nella sua struttura, la responsabilità dei due coniugi ha lo stesso peso, perché
giudicata in base a “valori ideali”[15].
Ecco il paragone con la cultura degli Ebrei:
“Suggestivo il parallelo con la storia del popolo ebraico: Mosè concede il
diritto di ripudiare la moglie solo agli uomini; tredici secoli dopo, Gesù
Cristo spiega che la possibilità di consegnare il libello di ripudio e
mandare via la consorte era stata concessa dal patriarca per la durezza del
cuore dei loro progenitori, e ristabilisce l’uguaglianza dei coniugi davanti a
Dio a cui sono legati dal patto sacramentale, che rimane per entrambi
indissolubile, tranne nei casi in cui il patto è già stato rotto, come nel
concubinato e nell’unione incestuosa. Gesù rimuove dopo oltre un millennio la
pena di morte mediante lapidazione per l’adulterio: il giudizio – inteso quale processo
per stabilire colpe e pene – non compete all’uomo, ma solo a Dio.
Difficile dimostrare un’influenza di questo pensiero veicolato da coloro
che nella nostra penisola leggevano il Vangelo da perseguitati, ma non si può
negare questa possibilità alla luce di quanto accadrà nei secoli seguenti con l’entrata
nei codici giustinianei di principi dell’etica cristiana nel diritto romano”.
L’etica cristiana stabilisce la responsabilità personale davanti a Dio di
ogni peccato e cancella quell’obbrobrio greco della perdita di responsabilità individuale
“se il male fosse tanto grande da trascendere la volontà di un uomo”, che
consentiva di attribuire la colpa agli dei di un parricidio, come quello
compiuto da Eutifrone, il quale viene assolto quando Socrate è condannato a
morte per aver “corrotto” con le proprie idee la gioventù.
Il Messia cancella la lapidazione dell’adultera da parte di uomini
peccatori e riporta il tradimento alla stessa questione di coscienza per l’uomo
e la donna, esortando il perdono umano della persona pentita. In tal modo,
elimina la paura della donna originata dal potere dell’uomo di ripudiarla e
lapidarla. Il cristianesimo, nella sua più autentica interpretazione, supera il
ruolo subalterno della donna che vi era presso gli Ebrei[16]. La condizione della donna è un
aspetto molto importante per inferire la psicologia di relazione della coppia
di epoca imperiale, e comprendere le ragioni che portavano i giovani di
entrambi i sessi a concepire il matrimonio come meta ambita e agognata.
Lo status sociale fornito dall’istituto matrimoniale e il ruolo conferito
all’interno della famiglia fungevano da supporto dell’Io, creando i presupposti
per un’espansione dell’Io stesso: al costo ragionevole di un’assunzione di
responsabilità, i due giovani acquisivano strumenti per consolidare la
personalità nel gioco simbolico dei ruoli, gratificante e condiviso
con tutti gli abitanti della domus, di signore e signora, padrone e padrona, e
poi padre e madre. I giovani sapevano che costituire una coppia coniugale non
equivaleva al semplice unire le sorti economiche e la convenienza materiale di
due persone, ma voleva dire acquisire la titolarità di gestione di un immaginario
collettivo di ruoli, veicolato nella casa di ciascuno da Lari e Penati, ma
anche dall’aneddotica familiare, dalla mitologia della gens, da valori e
principi vissuti e trasmessi dai propri predecessori e da quel vissuto di
speranza – proprio di ogni generazione ma a quel tempo ancorato a una cultura
collettiva uniforme – che sogna per ciascun giovane un interprete del futuro
migliore di quelli del passato.
Stabilita e consolidata l’unità dei coniugi, la psicologia della coppia
antica aveva un altro saldo ancoraggio: la ragione della casa. È
notevole l’impegno per interpretarla e tenerla viva nell’esperienza quotidiana,
ma costituisce poi un tesoro di rifugio, pace e ristoro nelle avversità, perché
rappresenta il paradigma condiviso dalla famiglia per l’elaborazione degli
eventi: una base per l’identificazione logica interpersonale. Seguiamo ora il
testo fino in fondo, così che la sua conclusione chiuda anche questo scritto di
commento:
“Un concetto specificamente legato alla tradizione pagana è quello della ragione
della casa, che ci riporta all’incursione nello spazio domestico della casa
romana nel quale abbiamo cercato elementi del vissuto della dimensione
privata che, nella sua osmosi con le varie forme di quella pubblica,
tesse la trama di sentimenti e sensibilità collettiva alla base della cultura
di un popolo.
La casa romana era circondata da un solco che segnava il limite fra l’interno
e l’esterno: lo scavo generalmente ospitava piccoli animali di allevamento e,
pertanto, la sua larghezza massima era calibrata sul diametro trasverso del
maiale di maggiori dimensioni, che era detto lirium e dava il nome al
solco confinario stesso[17]. Uscire dalla porzione di terreno appartenente
alla casa o ratione della domus costituiva un andare oltre il
giusto, non semplicemente oltrepassare il lecito. Il termine delirium
nasce come espressione del linguaggio figurato proprio per indicare lo
sconfinamento oltre i limiti della ragione della casa[18].
Lo spazio domestico, retto dalla struttura simbolica del vincolo nuziale e
dei legami con i figli e gli altri abitatori è uno spazio di responsabilità
secondo una concezione che si rafforza e si specifica con vincolo di senso al
sacro nella transizione cristiana.
Ricordiamo che nella cultura cristiana i coniugi diventano sposi: vocabolo
italiano derivato dal termine latino indicante colui che si assumeva una
responsabilità di qualcuno e poteva garantire per questa persona, come bene rappresentato
nella locuzione spondet pro aliquo, riferita al mallevadore. La medesima
radice dà luogo a parole che conservano in tutto o in parte il valore semantico
dell’etimo originario, come la parola inglese sponsor, che negli USA del
secolo scorso indicava la persona garante dello straniero che voleva acquisire
la cittadinanza americana. Gli sposi sono coloro che si assumono reciprocamente
la responsabilità della vita e della salute.
I legami all’interno della famiglia pagana media sono fortemente supportati
da condivisione di beni e trasmissione di eredità; interesse materiale che
spesso fa registrare quasi una proporzione diretta fra entità del patrimonio e
qualità forte e duratura dei vincoli.
Nella famiglia cristiana il valore sacramentale del matrimonio, il comandamento
“onora il padre e la madre” e il votarsi all’amore del prossimo chiamano in
causa direttamente Dio, dagli anni della formazione educativa all’età di
assunzione di responsabilità di sé e dell’altro al suo cospetto. Pertanto, chi
abbia davvero maturato sensibilità coerente con la fede che professa, e non sia
solo un battezzato che ignora o neglige la sostanza del suo credo, sarà lontano
da interessi materiali, che considera piuttosto un ostacolo per la salvezza.
Tra i veri cristiani non di rado si registrano vincoli affettivi più intensi in
nuclei familiari più poveri.
Ma, concludendo la visita alla dimora dell’epoca imperiale, congedandomi dalla
padrona di casa non posso fare a meno di ammirarne la realizzazione: l’unione
fra la probità espressa dall’assunzione di responsabilità della vita
dell’altro, che genera serena e fiduciosa armonia interiore, e l’esercizio delle
virtù nello spazio estetico della domus, in cui pareti dipinte, oggetti
d’arte e arredo esprimono l’ammirevole cura della dimensione culturale e
spirituale, rappresenta la sintesi che ha fondato quell’ideale di bellezza che
ancora ci affascina tra la nostalgia struggente di un paradiso perduto e la
speranza futura sospesa nella luce di un sogno”[19].
Gli autori della nota ringraziano la dottoressa
Isabella Floriani per la correzione della bozza e invitano alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE”
del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Lorenzo L.
Borgia & Giovanna Rezzoni
BM&L-23 aprile 2022
________________________________________________________________________________
La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International
Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze,
Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come
organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Smisurato dei Greci e
incommensurabile dei cristiani a confronto, in Note e Notizie 09-04-22
Notule.
[2] In Note e Notizie 24-04-21
Specchio della psiche e della civiltà – terza parte.
[3] Paul Veyne, L’Impero Romano,
in La vita privata dall’Impero Romano all’anno mille (Philippe Ariès e Georges Duby, a cura di), p. 50, CDE (su lic.
Laterza), Milano 1987.
[4] Cfr. Paul Veyne, L’Impero
Romano, op. cit., p. 55. L’interpretazione classica di una relazione omosessuale
entra in conflitto con questa attestazione documentale: quando all’amasio
cominciavano a spuntare i primi peli dei baffi, veniva licenziato e doveva
trovarsi una nuova occupazione sulla base di un mestiere da adulto.
[5] Cfr. Paul Veyne, L’Impero Romano,
op. cit., p. 56.
[6] Paul Veyne, L’Impero Romano,
op. cit., p. 32.
[7] Celebre il consiglio di Socrate
al giovane: “Sposati! Se troverai una buona moglie, ella ti farà felice; se
troverai una cattiva moglie, ella ti farà filosofo”.
[8] Paul Veyne, L’Impero Romano,
op. cit., p. 33.
[9] Cfr. Paul Veyne, L’Impero
Romano, op. cit., idem.
[10] Cfr. Paul Veyne, L’Impero
Romano, op. cit., idem.
[11] Cfr. Paul Veyne, L’Impero
Romano, op. cit., idem.
[12] Cfr. Paul Veyne, L’Impero
Romano, op. cit., idem.
[13] Cfr. Paul Veyne, L’Impero
Romano, op. cit., p. 33.
[14] Ricordiamo che una delle origini
del privilegio maschile era data dalla struttura militare della società e del
potere, quale derivazione politica dell’originaria ripartizione antropologica
dei compiti tra uomo e donna.
[15] Un modo di pensare che possiamo
accostare al paradigma moderno di Hegel dell’astrattezza e generalità
della norma.
[16] Gli Arabi aggraveranno e
peggioreranno la condizione della donna, fino a farne in varie versioni dell’Islam
una schiava dell’uomo.
[17] Sono debitore per questa nozione
al professore Aniello Gentile, che fu illustre storico delle lingue, interprete
di sanscrito, grecista, latinista e lessicografo.
[18] Fra gli autori che hanno spesso
citato questa etimologia ricordo Giorgio Agamben, che la riporta anche nel
saggio Infanzia e Storia.
[19]
Note e Notizie 24-04-21
Specchio della psiche e della civiltà – terza parte.